McEwan vince nel finale

MieleMiele

di Ian McEwan
Voto: 4 su 5 stelle

Molto bello il nuovo romanzo di Ian McEwan, da poco uscito (in Italia da Einaudi). A caldo, appena chiuso il libro, gli avevo dato cinque stelle. Leggerlo era stato come vedere una finale di coppa che si risolve improvvisamente negli ultimi minuti grazie alla giocata memorabile di un campione. Poi l’ho lasciato decantare, e ho ridotto le stelle a quattro. Ma non cambio opinione. Non ha l’intensità di Bambini nel tempo, o la straordinaria compattezza di Chesil Beach. E il grande interrogativo che attraversa tutta la storia – rivelare o non rivelare un aspetto di sé che all’inizio è stato taciuto, e che potrebbe incrinare il proprio rapporto con la persona che si ama? – a tratti sembra più una questione pragmatica che un dilemma morale. Però l’impianto narrativo è potente, e il finale vale il libro.
Qualcuno (anche McEwan, nell’ultimo capitolo) trova che a tratti sia un po’ lento. Forse. Ma a me piace anche il Mc Ewan che indulge in descrizioni, che partendo dai dettagli dipinge con precisione un’intera scena, un intero mondo: «Negli anni Settanta quello era cibo esotico. Ricordo ogni cosa – lo striminzito tavolo di pino con le gambe ammaccate di un blu uovo d’anatra stinto, la grande ciotola di ceramica piena di porcini viscidi, il disco di polenta che splendeva come un sole in miniatura su un piatto verde pallido con lo smalto crepato, la bottiglia di vino rosso coperta di polvere, la rucola piccante in una ciotola bianca scheggiata, e Tony che preparava il condimento in un attimo, versando olio e spremendo mezzo limone con il pugno nello stesso momento, o così pareva, in cui portava in tavola l’insalata».

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