Che competenze servono per lavorare in editoria

Faccio l’editore da tutta la vita. Nei giorni scorsi, mi è capitato di tenere un laboratorio sul lavoro editoriale all’università di Macerata, per spiegare agli studenti cosa si fa in una casa editrice e quali sbocchi potrebbero avere una ragazza o un ragazzo davvero motivati a fare il nostro lavoro. (“Mi è capitato” è un modo volutamente dimesso per dire che è una cosa che mi piace molto fare, mi diverte tanto e mi regala un’overdose di autostima––e allo stesso tempo scelgo la tecnica un po’ fuori moda dell’understatement.)

Dopo, molti mi hanno scritto parole di apprezzamento e qualcuno mi ha anche detto che dovrei farlo più spesso, non solo per gli studenti, ma anche per i più grandi. In effetti, quello che succede dentro una casa editrice, agli occhi di chi ammira i libri da fuori, ha sempre un certo fascino. Lo stesso fascino che esercita una casa di produzione cinematografica, un giornale o una casa discografica, e che magari non esercita una fabbrica di aspirapolvere, solo per fare un esempio a caso. Insomma: ci interessa capire come funzionano le fabbriche delle idee, delle emozioni e di tutte quelle cose che rendono la nostra vita non solo più comoda e più soddisfacente, ma in qualche modo più ricca di qualcosa di immateriale e tuttavia impagabile––più ricca di senso, se è questo il termine giusto.

Allora, da un po’ tempo avevo in mente di scrivere di queste cose, e così ho deciso di provarci. Questa newsletter vorrebbe essere settimanale––vediamo se è fattibile––e raccontare “cosa succede in casa editrice e cosa c’è da leggere”. Perdonate se a volte gli esempi potranno sembrare promozionali: chi lavora in una casa editrice ama i libri che fa, più di tutti gli ultimi, e di quelli parla ossessivamente. Il mondo della cultura, per tutti noi, ruota e si definisce intorno al nostro catalogo. Un editore di classici potrebbe arrivare a definire Shakespeare “un mio autore” e non me ne stupirei: potrei farlo anch’io.

Una delle cose che mi sento chiedere più spesso è quali competenze servono per lavorare in editoria. Mi è sempre difficile spiegarlo: ho avuto la fortuna di cadere nel pentolone da piccolo, un po’ come Obelix, e mi sono ritrovato a fare questo mestiere in modo molto naturale. Nella mia famiglia c’erano buoni esempi, il richiamo della foresta è stato forte e chiaro. C’erano molti libri in casa, molto se ne discuteva, e ricordo di aver fatto in quinta elementare una ricerca sul mondo di Paperino, battuta a macchina con la Lettera 22 di famiglia e impaginata con immagini dei paperi ben scontornate con la forbice: mancavano solo le didascalie e le note a piè di pagina, ma sarebbero arrivate di lì a poco, tra le medie e il ginnasio.

Le competenze per l’editoria sono insieme elusive e chiarissime: una instancabile curiosità intellettuale, la voglia e la capacità di comprendere idee e discipline anche lontane dalla propria, una solida familiarità con la scrittura e con la gestione dei suoi vari registri, l’abilità di valutare, contestualizzare e pesare le potenzialità delle proposte culturali in maniera scevra da giudizio. Abilità poco diffuse ma alla portata di tutti, su cui potremmo spendere chissà quanti approfondimenti––e magari lo faremo.

E poi c’è la polverina magica: quella fascinazione ogni volta che entriamo in una biblioteca, quel soffermarsi su ogni dettaglio di un libro qualunque (lo spessore della carta, i margini delle pagine e la posizione delle testatine, quelle frasi sulla quarta di copertina), l’irragionevole certezza (per usare una citazione non so più di chi, segnalatemelo se lo sapete) che “i libri, come i gatti di notte, fanno l’amore con i libri che incontrano”.

Ai più giovani che lavorano con me ricordo spesso che in editoria le competenze sono intercambiabili, perché la capacità di leggere, valutare e raccontare le proposte culturali è più forte delle tecnicalità dei vari mestieri. Italo Calvino entrò in Einaudi come addetto stampa, il che non gli impedì di diventare in seguito uno dei più intelligenti redattori e direttori di collana della casa torinese e della letteratura italiana (se riuscite a metter le mani su una copia dell’introvabile I libri degli altri. Lettere 1947-1981, non lasciatevela scappare: è una perla per chi voglia capire l’editoria).

Un caso veramente sui generis di recruitment di talenti editoriali è quello attuato recentemente da Seth Godin, il guru del marketing autore della Mucca viola, che negli ultimi mesi ha reclutato online e messo al lavoro un team di oltre 300 volontari per creare un libro globale sul cambiamento climatico. Autori, illustratori, statistici, scienziati, grafici, marketer, economisti, divulgatori: tante sono le competenze e le professionalità coinvolte (a titolo volontario, 24/7 e da più di 40 paesi diversi) per creare l’opera, a partire da un semplice post sul blog di Seth. Il libro si chiama The Carbon Almanac e uscirà fra il 12 e il 13 luglio in contemporanea in vari paesi del mondo, tra cui l’Italia (è stato già annunciato, fra l’altro, qui). Qualcuno si è chiesto maliziosamente perché il guru del marketing si sia cimentato con il tema del cambiamento climatico ma a me, veramente, la risposta sembra persino banale: perché nessun marketing minimamente sincero può oggi eludere la domanda di sostenibilità del prodotto, del brand, dell’azienda, del lavoro. Ne riparliamo. Buone letture.

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