Da qualche anno, ho il privilegio di assistere ogni anno alla lectio di Julio Velasco al LeadershipDay organizzato a Milano da Performance Strategies.
Dall’ultima volta abbiamo dovuto aspettare 19 interminabili mesi di Covid, ma oggi finalmente la magia si è ripetuta. Di nuovo Julio Velasco su un palco (un palco a 360° che ricordava quello di un mitico concerto di Frank Sinatra al Madison Square Garden nel 1974), la bellezza di stare insieme, l’emozione di un applauso dal vivo.
Julio Velasco è uno capace di dire cose semplici e geniali, che quando le dice lui, con quel suo accento argentino musicale e seduttivo, sembrano ovvie, ma bisogna esserci arrivati, a dirle.
Come la storia delle righe gialle. Ha raccontato che quando la “sua” nazionale di pallavolo italiana andava a giocare in URSS, a sentire i giocatori, era tutto un eschifo (lui dice proprio così, un eschifo). Era un eschifo la cucina, era un eschifo la città, era un eschifo il clima. Però poi, quando si arrivava al palazzetto, dentro le linee gialle del campo di volley, i russi “erano di un altro pianeta”.
Ma si è tutto un eschifo, diceva lui ai suoi giocatori, allora perché non gliele suoniamo? Fuori è tutto un eschifo, e solo dentro le righe gialle sono di un altro pianeta?
Quanti alibi ci raccontiamo tutti, ciascuno dentro le sue righe gialle?