La nuova rivoluzione delle macchine (in inglese The Second Machine Age) è un libro controtendenza, perché in un periodo di pessimismo economico dominante propone una visione di crescita e benessere all’insegna delle “macchine intelligenti”. Secondo gli autori, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee (due studiosi del Center for Digital Business del Mit, che avevano già esposto la loro tesi in un ebook autoprodotto intitolato Race Against the Machine), l’economia sta infatti per entrare in un’era di crescita e di prosperità, grazie a nuove macchine capaci di sfruttare pienamente i progressi dell’informatica, dell’intelligenza artificiale, dell’interconnessione globale e della digitalizzazione di quasi tutte le attività umane.
L’ottimismo degli autori è legato alla crescita esponenziale delle prestazioni dei processori, della quantità di informazioni digitali disponibili e del numero di dispositivi a basso costo connessi in rete: tre elementi che oggi mettono le macchine in condizione di fare cose che un tempo erano possibili solo nei film di fantascienza. Le auto circolano da sole in assoluta sicurezza, riconoscendo strade e luoghi scansiti nei database e controllando gli eventuali ingorghi di traffico in base al numero di telefoni cellulari presenti nei dintorni. I robot di nuova generazione identificano ogni tipo di oggetto e compiono operazioni complesse. I computer non si limitano a tradurre perfettamente un testo in tutte le lingue, ma ormai sono in grado anche di scriverlo.
Alle origini della “seconda rivoluzione delle macchine” non ci sono solo la quantità di dati disponibili o la velocità con cui è possibile processarli, ma “la facilità con cui è possibile combinare e ricombinare nuove capacità e nuove idee” (come ha spiegato Steven Pearlstein nella sua recensione al libro sul Washington Post). Anche la macchina a vapore e l’elettricità hanno impiegato un certo tempo prima di raggiungere un grado di diffusione tale da cambiare la vita della gente. Le tecnologie digitali oggi sono arrivate all’apice della loro diffusione e sono destinate a essere il motore di un nuovo periodo di crescita della società umana.
A beneficiarne saranno da un lato i consumatori, che potranno acquistare una vasta gamma di beni e servizi di alta qualità a prezzi bassi, dall’altro i creatori e i finanziatori delle nuove macchine, o tutti coloro che sapranno immaginarne l’impiego più competitivo. Un processo destinato a creare grande ricchezza: basti pensare al caso di Instagram, venduta a Facebook per un miliardo di dollari a meno di due anni dal lancio. Proprio pochi mesi prima una sua illustre antenata, Kodak, dichiarava fallimento.
Il confronto Instagram-Kodak è anche emblematico del diverso impatto che la “seconda rivoluzione delle macchine” avrà sul lavoro e sulla distribuzione della ricchezza. Kodak al massimo della sua espansione aveva 145.000 dipendenti. Le nuove aziende digitali hanno strutture molto più leggere (Instagram ha 4.600 dipendenti). Per contro, hanno creato una nuova classe di imprenditori e investitori super ricchi. Nell’era della macchine intelligenti, in cui un bene o un servizio può essere venduto contemporaneamente a un numero infinito di consumatori addizionali, a un costo marginale spesso vicino a zero, la produttività non va più di pari passo con il lavoro e il reddito.
Le nuove tecnologie possono quindi portare con sé un aumento della disoccupazione e della disuguaglianza. Brynjolfsson e McAfee, però, non temono un possibile calo della domanda complessiva di lavoro. Sono convinti che il maggior “bottino” creato dalla tecnologia sposterà la domanda verso lavori di tipo diverso, come è sempre successo. Questa transizione sarà tanto più dolce quanto più anche il sistema scolastico saprà uscire dalle logiche dell’era industriale (quando bastava insegnare a leggere, scrivere e far di conto) e si attrezzerà per formare a un insieme più ampio di capacità personali e intellettuali, necessarie per lavorare accanto alle macchine di nuova generazione.