Storia della sua gente

 

Ma che stiano tornando i romanzi sul lavoro? Sul lavoro quello vero, quello che fa sudare la fronte, quello della produzione, della fabbrica? Negli ultimi mesi ne ricordo tre. Il primo è Mammut di Antonio Pennacchi (Mondadori), narrativamente di gran lunga il più solido, che però in realtà è la riproposta di un libro scritto nel 1987 e pubblicato la prima volta nel 1994, riesumato oggi in seguito alla definitiva affermazione del suo autore. Il secondo è Romanzo reale di Lauro Venturi (Este), una bella storia di fabbrica e di azienda padronale italiana. Adesso ho in mano l’ultimo libro di Edoardo Nesi, Storia della mia gente (Bompiani), vincitore del Premio Strega 2011, uno dei successi letterari della stagione. Nesi vi rievoca le vicende della sua azienda di famiglia, uno storico lanificio pratese, che la famiglia nel 2004 ha venduto. Prima che finisse travolto dal declino del tessile italiano di Prato assediato dai cinesi. In realtà, Nesi più che “raccontare” la storia della sua gente si limita ad evocarla a pennellate impressionistiche, o a sintetizzarla per veloci carrellate cinematografiche. E per lo più preferisce soffermarsi su Scott Fitzgerald e altri ricordi letterari, sulla Versilia dei tempi d’oro, sulla colonna sonora della storia, da Bob Dylan ai Led Zeppelin; o dar voce alla rabbia verso le scelte di politica industriale sbagliate che hanno costretto alla fine tante storie industriali italiane. Per poi mostrarsi capace di squarci narrativi pazzeschi, che danno una morsa allo stomaco, come la visita a uno dei capannoni industriali dismessi dove oggi si produce il tessile cinese “made in Italy”, o la descrizione al rallentatore di un gesto banale, insignificante, che a una pompa di benzina uscita come da un quadro di Hopper incendia e fa esplodere l’odio xenofobo. Un’occasione forse realizzata solo in parte, ma un libro comunque da leggere.

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