Il pittore di case e la tragedia della bellezza

 

Ho visto in Romagna i nuovi quadri di Enrico Lombardi, che saranno in mostra dal 17 settembre al 16 ottobre alla Chiesa del Pio Suffragio di Bagnacavallo, e sono rimasto piacevolmente stupito. Con la sua pittura precisa, che a lui piace definire masaccesca, Lombardi indaga da più di vent’anni la forma e la struttura disincarnata di case rimaste in apparenza senza abitanti. Per le strade, sui muri dei suoi quadri si proiettano le ombre di forme di vita rimaste altrove. Dalle sue fontane scorre ininterrottamente un filo d’acqua limpida che non abbevera anima viva. Agli inizi, i suoi scorci di colline e di borghi romagnoli erano ancora riconoscibili pur nella luce straniante del sogno e dell’assenza, e qualche luce dalle finestre suggeriva la presenza di là dai muri di voci e di vite. Poi Enrico ha così trasfigurato le sue case, da portarle nel corso del tempo a sorgere dall’acqua, a volare insieme a stormi di cipressi lievi come piume, a depositarsi in equilibrio precario sui picchi aguzzi di montagne colorate come fantasie di pasticceria.
Ma questa volta, nei quadri della Pazienza dell’ombra, il pittore di case ha fatto qualcosa che non aveva mai fatto. Per la prima volta ha ancorato le sue case a un orizzonte. Un orizzonte vero, vivo, inequivocabilmente abitato, che appare improvvisamente sotto forma di una costa avvistata di notte in lontananza, al di là di un braccio di mare; una sottile linea nera frastagliata, punteggiata di luci vivide, che fanno pensare a strade, case, auto, lampioni, fari, palazzi, fuochi, finestre. Si tratta di un orizzonte ancora distante, appena avvistato da un punto di vista che è ancora al di qua: l’osservatore si trova ancora in un mondo allagato e fermo, della cui inaccessibilità palazzi e fontane si ergono a sentinelle, come giustamente le chiama Lombardi. Ma quella scura linea d’orizzonte, con le sue luci lontane, esercita il richiamo e il fascino di un approdo.
Improvvisamente, guardando questi quadri mi rendo conto che il mondo della pittura di Lombardi mi fa pensare al mondo delle idee platoniche. Enrico lo ha frequentato a lungo, ha imparato a esplorare i meandri di questa realtà disincarnata. Adesso, con percorso inverso a quello del filosofo, dal mondo delle idee è riuscito finalmente a scorgere il mondo reale, quello (platonicamente) dell’apparire. Ed è un apparire struggente. È come se Lombardi ci mostrasse il mito della caverna, ma da un punto di vista vertiginosamente diverso: da molto lontano, protetti dalle sentinelle e da invalicabili specchi d’acqua, vediamo i piccoli fuochi alla luce dei quali gli uomini osservano e scrutano, interrogandosi sgomenti, le ombre indecifrabili di forme distanti. Lombardi ce ne ha dati tanti indizi, nel suo itinerario artistico; forse nemmeno tutti consapevoli; la sua pittura è un richiamo a uscire dalla caverna, a imparare a vedere l’essenza delle cose; e adesso, dopo avere tanto contemplato quell’essenza, dopo aver provato ed evocato la più dilaniante nostalgia dell’uomo, come uno Zarathustra pronto a scendere dalla montagna, avvista l’orizzonte pulsante e caotico della vita.
C’è un punto preciso, in questi quadri, dove avviene un passaggio: un punto dove l’acqua cambia colore, dove l’acqua immobile del mondo delle sentinelle si trasforma in acqua di mare, fresca, salata, increspata dal vento, profumata, scura. E ci sono due quadri, nella serie, dove in quel punto accade un fenomeno del tutto particolare e quasi magico. Sono i due guardiani della bellezza, Custode della bellezza ritrovata e Custode della tragedia della bellezza. Le luci all’orizzonte lì si fanno più vivide, sfavillanti, sensuali; il loro richiamo diventa irresistibile; l’orizzonte da linea lontana diventa struggente nostalgia della terra. E allora, accade che le luci della terra si stendono sul mare, proiettano un fascio che crea come una passerella. E ci sembra di poterla percorrere, di poter lasciare il mondo allagato dei custodi delle forme e tornare alla terra camminando sull’acqua. È questa quella che Lombardi chiama ‘la tragedia della bellezza’? È la bellezza, di tutte le perfezioni, quella che stende un dolce velo di luce e ci invita a credere di poter attraversare a piedi l’invalicabile? O ci illude di poterlo fare?

1 commento su “Il pittore di case e la tragedia della bellezza”

  1. Un amico mi ha mostrato questo tuo commento sul mio lavoro. Grazie. Mi è piaciuto molto. La “tragedia della bellezza” è sempre stata nella sua sostanziale impossibilità e utopia. Oggi, purtroppo, è diventato impossibile, non solo tentare di farla, ma neppure tentare di pensarla. Per questo, a costo di sembrare filosoficamente ingenuo, ho dedicato alla “bellezza” la mia ultima mostra. E’ il mio modo per ringraziare e per fare la mia piccola, inutile e disperata rivoluzione. Ti abbraccio.
    Enrico

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