Ebbene sì, è una rivoluzione. Era stata annunciata dieci anni fa, ha tardato ad arrivare, ma alla fine si farà: il passaggio all’editoria digitale è cominciato a gran velocità. È un passaggio difficile da decifrare, con molte facce e anche con molti falsi miti.
È una rivoluzione tecnologica pari all’invenzione della stampa a caratteri mobili. Forse anche più importante: se non altro perché il numero di esseri umani che coinvolge è incomparabilmente maggiore. Si dice che stravolgerà il settore per le mirabolanti efficienze che consentirà. Ma l’invenzione della stampa a caratteri mobili non comportò solo un profondo riorientamento dei processi di produzione e distribuzione dei libri, una diminuzione dei tempi e dei costi di realizzazione, uno straordinario guadagno di efficienza. Cambiò completamente la storia della cultura, il modo di produrre e di leggere testi scritti. Significò la disponibilità su larga scala di testi che in precedenza erano disponibili solo ad élites, e a costi superiori. Il testo fu “disponibile”, “riproducibile”, a portata di mano; divenne “per tutti” e perse l’aura di cui godeva. Dal dominio del principio di autorità, il mondo passò all’era del pensiero critico. Il testo non fu più “compitato”, ma criticato: si smise persino di leggerlo ad alta voce, come in un rituale, e si imparò a studiarlo in silenzio per comprenderlo, analizzarlo, valutarlo.
Che cosa succederà stavolta, dopo la rivoluzione? Io ho il sospetto che il futuro non sarà degli e-books, ibrida imitazione digitale dei libri stampati. Ma che avrà una faccia molto diversa. Agli albori dell’automobile, le prime vetture parevano carrozze senza più i cavalli davanti. Poi l’automobile prese una sua forma, diversa dal calesse. Così succederà anche ai libri digitali.
Alcuni segni si intravedono già. Il testo a stampa era per natura finito. Veniva scritto, perfezionato, editato, “finito di stampare” e consegnato alla posterità in una versione perfetta e congelata. Il testo digitale è potenzialmente sempre modificabile, “opera aperta”. Il modello c’è già: è Wikipedia. Un’enciclopedia aggiornata in tempo reale.
La bibliografia di un saggio potrà essere costantemente aggiornata, anzi aggiornarsi automaticamente collegandosi con le banche dati librarie internazionali. Cliccando su una citazione sarà possibile portarsi immediatamente nel testo in questione, per consultarlo interamente. Un romanzo potrà cambiare continuamente finale, a seconda dei gusti del pubblico. Un libro potrà essere fatto di testo, di video, di immagini, magari – tra poco – di profumi o di ologrammi tridimensionali.
È difficile capire dove ci porteranno questi cambiamenti. Il tema davvero interessante, nel passaggio ai libri digitali, non è lo standard tecnologico, non è la guerra tra Kindle e iPad; è capire come cambieranno i comportamenti di chi legge – e anche quelli di chi scrive. Io credo che si tratterà di stare vicini ai cambiamenti, di usarli man mano che si presentano senza andar dietro alle mode. Di non perdere di vista il fatto che il valore è la cultura, non la tecnologia: e qui siamo tutti impegnati nella produzione e nella trasmissione della cultura. Di ricordarsi che le tecnologie sono straordinariamente utili, ma nessuna tecnologia può produrre un avanzamento della ricerca. La ricerca è una cosa terribilmente umana, e ogni suo faticoso passo avanti, per quanto possa essere aiutato dalla tecnologia, è il frutto di un duro lavoro di spremitura di cervelli, nella solitudine della propria stanza o nel fecondo ambiente di un gruppo di lavoro, ma pur sempre un gruppo di cervelli umani.
E quindi bisogna anche fare in modo che la gente non perda l’abitudine a spremersi il cervello, non pensi che la priorità sia l’ultimo gadget tecnologico e che tutto il resto venga facile.